FOGLIAZZA: DISEGNARE È CAPIRE

Cosa si nasconde dietro il graffio di un grande disegnatore? Dove nascono le idee per raccontare, denunciare, ispirare attraverso un disegno?
Pensavamo che il miracolo consistesse nell'convinto una delle grandi penne di oggi a dedicarci un po' del suo tempo. E invece, a sorprenderci ancor più è stata la disponibilità, la profondità, l'umanità di un uomo, di un padre, di un adulto davvero interessato a noi che, per quasi due ore, ci ha presi per mano e ci ha portati nella sua bottega di lavoro. E nella sua vita.
Alessandro
Per descrivere il suo lavoro lei si definisce un fumettista satirico: che importanza pensa abbia la satira in questo momento storico? Permette di alleggerire il tutto o fa riflettere in una maniera più profonda?
Intanto diamoci del tu. Per cautela mi definisco un disegnatore. Non faccio soltanto satira. Se vi dicessi che in questo periodo farsi un’opinione autentica è sempre più difficile. Tuttavia, la satira ha il vantaggio del disegno, della scorciatoia. Può aiutare a far circolare le idee. Andiamo di fretta e pensare non è sempre facile. Utilizzata per fini sociali, dalla parte dei più deboli, graffiare i più forti, può essere un veicolo educativo.
D’accordo. Tu definisci il tuo stile di fumettista come un graffio che non se ne andrà…
Questo preferirei che lo dicessero gli altri. Io cerco di incidere. Non voglio cambiare il mondo, ma sicuramente influire sulle idee del piccolo mondo che abito. Certo che, poi, un pizzico di presunzione mi dice di avere qualcosa da dire anche per chi non può esprimersi. Metto i miei disegni a servizio di chi non ha voce. credo che l’arte sia un vantaggio. Una lingua franca che possa comunicare e veicolare messaggi. Un’arte che non si schiera, che non si mette a disposizione, è solo una forma di vanto. La parte giusta è sempre quella del più debole. Se la satira viene usata correttamente può essere un veicolo di comunicazione della cultura del nostro Paese. E se è ben fatta, la vignetta satirica è esplosiva. Ma va decantata, lasciata respirare, non sparata a raffica, in mezzo a mille altre.
La satira, quindi, alleggerisce il tema o lo approfondisce?
Il rischio della velocità è la sostituzione di un messaggio con il successivo. Ci sono mostre di satira in cui le vignette sono in carrellata a nastro. Mentre, secondo me, il potere della satira è la riflessione, il silenzio attorno ad una vignetta. Il qb, come in cucina, il quanto basta. Bisogna trovare la quantità giusta. Non è detto infatti che la quantità sia sempre un pregio. Le idee sono come la cacca. Hanno bisogno del loro tempo. Un contadino lo saprebbe bene. Occorre rispetto per le idee, decantazione.
Ginevra
Nel tuo lavoro, l’umorismo è spesso usato per trattare temi profondi e a volte controversi. Come scegli quali argomenti esplorare attraverso il fumetto? Qual è il limite tra provocazione e sensibilità quando affronta temi sociali o politici?
Non vorrei essere in un vostro professore! (Ride). Mi state quasi imbarazzando! Avendo a che fare con la satira, io non ho mai avuto problemi di censura. Ma anche nel mio ambito, ho sempre cercato di evitare luoghi comuni, provocazioni facili, scorciatoie furbe. Ad esempio, la parolaccia, la bestemmia, la volgarità gratuita. Quando ci vuole ci vuole, ma spesso non è necessario. Affronto tematiche sociali e devo affrontare le conseguenze dii quello che dico. È una responsabilità importante, che aumenta ogni giorno. Faccio un esempio. Il 4 gennaio di quest’anno mi segnalano una vignetta firmata da me finita in un paginone del Corriere della Sera in cui si prendeva in considerazione l’ondata di antisemitismo a cui assistiamo in questi drammatici mesi. In quel paginone, il mio pensiero, il mio tratto, erano stati presi e ridotti ad un ragionamento semplicistico, e per questo profondamente distorto. Io non sono certo un antisemita. Da tutta la vita lotto per i diritti di chi viene calpestato, di chi subisce. Avrei potuto rivolgermi a dei legali. Ma avrei perso ore di sonno, soldi, tranquillità. L’opinione di una persona, specie quando tocca nervi scoperti, viene essere spesso strumentalizzata anche per ragioni esterne e superiori. In casi come quello, cerco sempre di rimanere me stesso, di coltivare la responsabilità. E, in generale, di riflettere molto prima di decidere di pubblicare qualcosa. Preferisco rinunciare ad una battuta sferzante che ad uno sguardo rispettoso e onesto.
Riccardo
Come sei riuscito, dal lavoro in fabbrica, a diventare quello che sei oggi? Qual è stato il momento cruciale che ha cambiato il tuo percorso professionale e personale? Quando, insomma, hai capito che l'arte sarebbe stata la tua vita?
La mia gavetta è stata in fabbrica. Turnista per 12 anni, anche di sabato e di domenica. In quegli anni, disegnavo per sopravvivere con la testa alla monotonia del lavoro. E lì è nato il mio soprannome: Fogliazza. Mi sono subito piaciute le due zeta di quel nuovo modo di definirmi, che devo ad un collega più anziano. È stato il mio battesimo. Quando, poi, è arrivata la possibilità di un contratto annuale come disegnatore, mi sono detto “ora o mai più”. Anche perché, devo dirlo, io non avevo molte possibilità con le qualifiche che mi trovavo: studente scarso, senza un diploma superiore. Non sono un modello, in questo. Da vent’anni, però, il disegno è il mio mestiere. E lo studio oggi fa parte di me. Imparo molto dai miei figli, di 18 e di 16 anni, e dai ragazzi come voi che incontro nelle scuole.
Ginevra
Qual è il processo creativo che segui per sviluppare un nuovo progetto? Parti sempre da un'idea, da un'immagine, da un sentimento? Qual è il momento che per te segna l'inizio del "lavoro" su un fumetto? E quando senti che il fumetto è pronto, che è concluso?
Se ragionassi esclusivamente secondo la logica del marketing, dovrei seguire ed inseguire la notizia del momento: Fedez, Tony F, i Cuoricini e Sanremo in generale. Ci sono, come in queste settimane, notizie che richiedono di essere catturate e interpretate all’istante. Ma io sono più affezionato alle comunicazioni pregnanti.
Alessandro
Uno dei tuoi ultimi post sul "Fatto quotidiano", a proposito della tregua a Gaza, hai un titolo molto forte: "Puoi cessare il fuoco ma non le braci": pensi che queste braci verranno mai spente?
…Purtroppo, non sono ottimista. La situazione è talmente compromessa e incancrenita che questo rancore continuerà ad alimentare anche le prossime generazioni con un odio senza fine. Ci sono generazioni nate e cresciute all’interno della Striscia, che non conoscono altro, che non hanno visto nient’altro. Come è possibile pensarle pronte ad una conciliazione? Io, giusto per essere chiari, sono a favore del popolo palestinese, e al tempo stesso contro Hamas così sono contrario alla politica d’Israele. Per questo amo dire che sono per la soluzione di tre popoli in due Stati: da un lato i Palestinesi, dall’altro Hamas e Israele, in modo che siano costretti a convivere e a fare i conti con la loro stessa violenza. Poi, la parola pace è spesso vuota, retorica, da sempre nelle mani del potere. Oggi, in quelle di Trump, Musk, Putin, Bezos. Ovviamente, la sogno, ma non ci scommetterei.
In questi ultimi giorni si sente molto parlare di censura e limiti per l’arte sui social, secondo te, quali sono i confini che l’arte deve avere nel suo messaggio pubblico? Necessariamente deve essere censurata?
Il limite è la responsabilità sociale. Non sono d’accordo su un’idea di arte che può dire tutto. Non sono dell’avviso che l’arte sia una zona franca di libertà assoluta, perché deve sempre vigere il rispetto per l’altro. La giustificazione in nome di un fare arte ad oltranza è sempre pericolosa. Nel tempo, anche negli anni scorsi, troppi adolescenti cinquantenni e sessantenni hanno giocato con un humor nero camuffato di satira. È pericoloso e, secondo me, profondamente sbagliato. La satira non è un cappello sotto cui nascondere e nascondersi, ma una lente per fare chiarezza.
Ginevra
Il fumetto è un mezzo che, per sua natura, riesce a mescolare immagini e parole. Come costruisci le tue storie visive?
Creare è come il rito della cacca. Io sono attratto dal disagio. Le storie belle non sono così interessanti. Parlo, chiacchiero, faccio domande, mi documento. Studio tutto quello che non studiavo a scuola. E do il tempo affinché dentro di me avvenga una metabolizzazione, una decantazione. Poi, piano piano, affiorano delle immagini nel mio cervello. Allora inizio ad arredare una storia in base ad uno storyboard.
Quanto è importante, a questo punto, che la narrazione grafica e quella testuale si integrino perfettamente?
Il fumetto è un esercizio quasi poetico. Bisogna usare la parola in modo sintetico, per sottrazione. L’immagine deve comandare sulla parola. Se si coprissero ii disegni nel fumetto e ne capissimo ugualmente la storia significherebbe che l’immagine non è chiara, o banalmente, non è potente. È importante che il disegno sappia inglobare la parola. Ma questo non significa che dietro poche parole ci siano pochi pensieri. Anzi, dietro c’è un mare da limare, da asciugare.
Alessandro
Oltre che nell’arte grafica tu sei anche impegnato nel teatro civile. Secondo te è ancora vero lo stereotipo del teatro come luogo frequentato da gente ricca, colta e non “esattamente giovane”?
No, credo che questa sia una narrazione piuttosto stereotipata e legata a teatri blasonati, come ad esempio La Scala. Ma la realtà è molto più mossa, meno etichettabile. Per fortuna. è
Nel 2022 hai vinto il premio “Maurizio Musolino” per l’impegno a favore della causa palestinese. Secondo te, per un artista quanto è importante la capacità tecnica e quanto lo è l’attenzione ai temi civili?
Il baricentro è sempre nella narrazione, nella forza di una storia. Il disegnatore e, più in generale, l’artista devono raccontare e lo devono fare in modo onesto, chiaro, potente. La tecnica aiuta, ma da sola è solo un esercizio ed uno sfoggio estetico. Credo che, al contrario, l’arte sia una lingua franca e un invito a schierarsi, a prendere parte alle cose.
Leonardo
Hai mai raccolto feedback inaspettati dal pubblico che hanno influenzato il tuo modo di lavorare?
È successo una volta in cui, durante lo spettacolo, una signora in platea si era addormentata. Ovviamente, quando richiedi attenzione prolungata, magari in uno spettacolo serale, dopo cena, è possibile che a qualcuno la palpebra scenda. Alla fine, mi aveva stupito che proprio lei mi avesse applaudito con particolare convinzione. Gli applausi degli altri l’avevano svegliata! Un altro episodio riguarda la vita di Vittorio Arrigoni, che porto in giro spesso. Attivista, giornalista, ragazzo straordinario. Nella sua biografia c’è tanto che proietto di me. Una volta, in uno spettacolo su di lui, avevo citato le suore della mia infanzia che, quando andavo per riprendermi i palloni che cadevano oltre il muro del convento, non me li restituivano mai. In sala c’erano due suore. Alla fine, vennero dritte verso di me. Temevo si fossero riconosciute. Ma in realtà vennero a complimentarsi, sospettando che a fare quel gesto di scortesia nella mia infanzia fossero le carmelitane. A loro e alla loro generosità devo ancora oggi la possibilità di aver potuto allestire quello spettacolo, a Parma.
Alessandro
Con opera “Ribelli come il Sole”, realizzato in occasione del centenario delle barricate di Parma, hai voluto far sì che la storia non si riducesse alle sole pagine di un libro ma potesse arrivare a ragazzi come noi: che importanza dai, quindi, ai valori che sono dietro ad un racconto di pagine della nostra storia?
La storia non è mai solo il passato, ma anche il presente. È sempre attuale. Il presente storico che stiamo vivendo chiama urgentemente l’attualità del passato, ma continuiamo a non volerne prendere atto. La forza della storia, così come della memoria, di chi ci ha preceduto, ci illumina la direzione da intraprendere. Ascoltare la Costituzione, la voce dei nonni, le ombre del fascismo. Il mio dovere oggi è quello di proteggere e di difendere quei valori, che non sono carta ma parole intoccabili, vita.
E, in una battuta, cosa pensi, a questo proposito, dell’orientamento dato all’insegnamento della storia previsto dalla riforma Valditara?
Io vorrei che Valditara stesse qualche ora insieme ai vostri docenti nella scuola pubblica. Credo che oggi non ci sia mestiere più importante di un docente. Peccato che, in alto, non ci si accorga di questo, che la capacità di resistenza di questo Paese la si debba alla forza e alla straordinaria dedizione di alcuni insegnanti, sulle barricate come pochi altri in questi tempi.
Leonardo
Nella mostra “BÈBIGHÈNG. I figli degli altri” affronti il tema delle baby gang e del disagio giovanile, evidenziando la mancanza di cultura dell’educazione e la superficialità della società nel giudicare ed etichettare i giovani. Pensi sia in primis la famiglia assente nel percorso dei ragazzi o anche istituzioni come la scuola o i vari centri di aggregazione, che non riescano a comprenderli e ad instaurare un dialogo che li ascolti? Per dirla con parole tue, pensi che valga il “CHIUDETE I GIUDIZI, APRITE LE PORTE” e per non fare dei ragazzi dei “FANTASMI IN MEZZO ALLA GENTE”?
Affronto il tema del disagio giovanile per confutarlo. Sono contrario al concetto di disagio perché, secondo me, è ciò che gli adulti utilizzano per giustificare il male dei figli. Oggi molti genitori non sono attrezzati per fare i genitori, non sono risolti. Pensano di compensare l’attenzione verso i figli con la cosiddetta qualità del tempo, ma serve anche la quantità, l’investimento, la capacità di rallentare. La scuola pubblica è rimasta l’ultimo baluardo, insieme agli ospedali pubblici, di un morente senso di comunità, di società. Per dirla con una battuta, sono gli adulti la vera trap, nel senso di trappola. Non certo la musica.
Come valuti l'accordo che prevede la liberazione di ostaggi israeliani in cambio di prigionieri palestinesi? Pensi che questo possa rappresentare un passo significativo? Considerando che la tregua invece è stata descritta come fragile e che ulteriori fasi devono ancora essere negoziate, quali sono, le altre sfide che si dovrebbero affrontare?
Detesto l’arroganza provocatoria con cui Hamas ha esibito e continua ad esibire gli ostaggi come trofei, evidenziando che, per chi la voleva morta. Credo che questa organizzazione terroristica finirà per cadere rovinosamente, ma solo dopo aver sparso altro sangue innocente. Allo stesso tempo, trovo squallido l’atteggiamento di Israele, reso possibile dalla protezione di Trump.
Ginevra
Nel corso degli anni, hai visto un'evoluzione nel modo in cui il fumetto viene percepito in Italia? Credi che il fumetto stia guadagnando una visibilità come forma d'arte?
l’Italia non è per il fumetto un mercato particolarmente diffuso come lo è nel resto d’Europa. Noi abbiamo ancora l’angolino nelle librerie. Ma questa cultura sta cambiando e il fumetto, da cosetta, sta diventando un libro, un romanzo, un film. Grazie anche ad autori straordinari, come ad esempio Zero Calcare.
Per salutarci. Cos’è, allora, in una battuta, disegnare, per te?
Disegnare è vedere, vedere è capire. Disegnare è capire.
Alessandro Micheloni
Ginevra Ravagna
Leonardo Pietralunga
Riccardo Mori