L'ARTE DELL'APPROFITTARNE

“La meritocrazia è un'illusione che giustifica le diseguaglianze”. Prima di smentire la frase che caratterizza il sottotitolo e rispondere alle domande partiamo dall’etimologia di questa parola per comprenderne il significato: “meritocrazia é la concezione in ordine alla quale si ritiene legittimo che il successo, il prestigio, il potere, si debbano conseguire esclusivamente in virtù delle doti, delle capacità e dei meriti personali.” -UTET Questo termine coniato negli Stati Uniti e successivamente introdotto in Italia soltanto negli anni Settanta si basa sul principio di favorire coloro che si impegnano, che con ardore affrontano la propria vita fungendo, quindi, da garanzia. Questo principio nasce al fine di motivare le generazioni creando un qualcosa di indefinito a cui ambire. La valorizzazione del merito oltre a ricoprire il ruolo di sprone, come ho detto antecedentemente, permette un distacco tra coloro che considerano la propria vita opportunità per distinguersi e coloro che, invece, fanno solo ciò che é il minimo necessario per sopravvivere: quelle persone che, in preda ad un mio momento di buonismo che non mi spiego, non definirei inette ad adempiere al loro dovere nell’ambito lavorativo, ma bensì le definirei persone che riconoscono di non aver le facoltà intellettuali sufficienti per sopravvivere o non le utilizzano. Essi, basandomi sulla mia esperienza, non hanno la dignità di ammettere la loro pigrizia nell’interfacciarsi alla vita cercando di disconoscere il più possibile i traguardi altrui per autoconvincersi inconsciamente di essersi impegnati: per sentirsi bene con sé stessi. E poi si sentono discriminati e ci etichettano come egoisti se non gli viene riconosciuto questo diritto: che vergogna! L'affermare che "La meritocrazia è un'illusione che giustifica le disuguaglianze" è una strategia per sfuggire alle proprie responsabilità e nascondere la propria inadempienza, non legata a una limitazione, ma a una pigrizia, in ciò che si fa. É profondamente pericoloso affermare ciò, perché nessuna forma di stimolo o il “diciotto politico” possono far fermare coloro che vorrebbero puntare verso lo stesso obiettivo di merito . Inizialmente ho parlato di Patria, concetto che non sembra trovare analogia con la grande tematica della valorizzazione del merito o della distinzione del medesimo, ma volevo usare questo vocabolo che implica un senso di appartenenza per riflettere sull’ipocrisia di sentirsi parte di una comunità, di un Paese, di un gruppo per poi approfittare dello stesso. É una visione moralmente scorretta, poco etica! Agli opportunisti d’intelletto altrui, a coloro che per convenienza, per codardia e svogliatezza si nascondono, come parassiti, rubano parte dei traguardi degli altri; ai mancati lavoratori incapaci di sopportare la minima forma di fatica approfittando, così, del lavoro altrui, : coloro che la pensano così non provano un po’ di vergogna? Che misere ambizioni hanno nella loro vita? E, per ultimo, che senso morale hanno nel credere ad un’idea di collettività solo per convenienza al fine di approfittare degli altri, che concezione di Patria?
Edoardo Fazzi