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L'ARGINE COMUNE

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Sono quasi al termine del mio viaggio su questa terra, ma non potrò mai dimenticare quando...In quella sera, la sera in cui fui espulsa dalla scuola nell’estate del 1938, c’era questa domanda che mi martellava in testa: «Perché? Perché? Perché?» Una domanda che mi agita ancora. Non riesco neppure oggi a rispondere a quel perché. Non ci potrà mai essere una risposta sensata, perché quello che accadde da quel momento in poi è assurdo. Oggi, a distanza di ben 87 anni da quel giorno, ancora non riesco a darmi una motivazione di quanto accaduto e di come possa essere brutalmente denominato. “Genocidio”. Una parola malata che affligge chi ha vissuto quell'episodio che, insieme a me, riesce a testimoniare quanto accaduto, ma che si impegna ad evitare che ciò accada e che quel termine venga usato in maniera spropositata alla situazione. Le caratteristiche tipiche dei genocidi sono essenzialmente due: uno è la pianificazione dell'eliminazione, l'altro è l'assenza di un rapporto funzionale con una guerra. Anche i genocidi commessi durante le due guerre mondiali non ebbero la guerra né come causa né come scopo, anzi furono eseguiti sottraendo uomini e mezzi allo sforzo bellico. L'impennata delle manifestazioni di antisemitismo nel mondo, a livelli mai visti da decenni, dimostra l'effetto devastante delle tossine che sono tornate in circolo. Da lì parte il sistematico abbassamento degli anticorpi che sorreggono la coscienza democratica dei cittadini. Inquieta anche alcuni di coloro che, lodevolmente si dedicano alla tutela e alla trasmissione della Memoria, sembrino non capire che lasciar passare oggi l'abuso del termine genocidio significa produrre una crepa in un argine. E se crolla quell'argine, domani, potrà passare ben altro.

Renoldi Andrea

Riva Riccardo

Argiolas Cristian

Singh Abhijot

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