L'ARTE DI GOVERNARE

Driin… driin, sono le sei del mattino: mi devo svegliare!
Oggi è un giorno particolare, anzi, epocale per la mia storia personale; infatti oggi iniziano le sedute parlamentari date le recenti elezioni governative.
Per la prima volta nella mia vita sento che la mia idea potrà diventare parte di un progetto più grande di me che è la gestione del Paese che amo: l’Italia.
Quando ho saputo che avrei superato la soglia minima per entrare al Consiglio ho subito realizzato che fossi stato in grado di realizzare quel sogno che sin da ragazzo nutrivo con continua speranza. Infatti volevo diventare quella persona che potesse aiutare la propria nazione.
Però un dubbio mi assale ancora: sarò in grado di mantenere vivi quei valori della vera politica? Quella del passato e che solo la storia ci può insegnare?
Infatti questo grande contenitore, il mondo della politica, è un universo di significati e morali filosofiche. Questa parola, quest’arte, alimenta l’energia degli Stati e va conosciuta.
Per capirne veramente il significato, però, bisogna indagare partendo dalle trame della storia: il termine politica deriva dal greco antico e significa “l’arte di governare”, mentre colui che svolge la mansione della politica (il politico) trova etimologia dall'appellativo di “cittadino”. Con questo si potrebbe dire tutto: colui che pratica l’arte di mettersi in servizio di un popolo non è altro che cittadino nella totalità di quel Paese.
Ma dove nasce questo lavoro? E soprattutto, perché nasce? Le più antiche origini della carriera politica si trovano nell’antica Grecia: la grande Atene è la culla della prima democrazia mai instaurata nella storia. Per capire ancora meglio il concepimento della politica, però, è necessario un affondo storico che parta dalle origini di questa città-stato, la prima, l’inimitabile. Infatti Atene nasce con l’unificazione di molti villaggi della penisola Attica che furono soggetti ad una monarchia. Secondo i miti fu l’egiziano Cecrope il primo re anche se, col tempo, gli ateniesi antichi si radunarono in dodici località unificate poi dal leggendario Teseo: una storia, quella della polis (città) di Atene, tanto ricca quanto misteriosa e affascinante perché perfetto connubio tra mito e verità.
Per arrivare però alla prima democrazia della storia, quindi il primo sfogo da parte del popolo di voler interagire attivamente nella vita di società, si ha da viaggiare nel tempo fino al VIII secolo a.C., dove la monarchia ormai instaurata da decenni venne sostituita da un governo perpetuo, una forma di politica della città-stato dove un’oligarchia di nove membri scelti dalla nobiltà prendeva il potere, che si rivelò già nel breve tempo una pessima scelta per i cittadini: l’abuso di potere regnava sovrano, quindi i cittadini manifestarono il loro dissenso fino a trovare la soluzione di creare delle leggi. Non è dunque questo uno dei fondamenti dello Stato e delle Unioni moderne?
Ecco il senso della politica: la popolazione conosce i suoi limiti e potenzialità volendo usarli per accrescere senza cadere in inutili estremismi dannosi.
Tornando alla storia di Atene, l’inizio del periodo delle legislazione si ha con Dracone, il quale creò il primo codice di legge moderno e molto severo nelle concessioni se paragonato a quelli precedenti. Successivamente venne Solone, uno dei sette saggi della Grecia, che con alto spirito patriottico e di onestà riordinò la società ateniese in quattro classi sociali alleggerendo i debiti dei contadini e dando loro un “maggiore spazio” per il diritto alla vita che all’epoca dipendeva dalla famiglia per i quali lavoravano. Infine Solone instaura quello che si potrebbe chiamare il “padre” di tutte le attuali camere del potere: la boulè, un gruppo di quattrocento membri eletti che discuteva per la città di Atene. Nonostante questo spirito propositivo per la polis il popolo entrò in una serie di conflitti interni che portarono la figura di Pisistrato al potere tramite un attacco all’Acropoli (la parte della città più fortificata e dove si svolgeva la vita politica, simbolo per l'appunto del potere). Questo fondamentale personaggio si presenta agli ateniesi come “tiranno”, un titolo che ad oggi risuona solo come negativo, ma che all’epoca (infatti per primo a scriverne le caratteristiche è Platone) indicava una figura che in modo neutrale prende i pieni poteri: insomma, non è vista né come una forma di governo ostile alle libertà ma neanche come una cosa positiva, starà al tiranno dimostrare le sue capacità. Pisistrato si rivelò un politico di successo per la città-stato applicando idee che arricchirono il paese. A lui susseguirono i suoi figli, però la figura chiave per la nascita della democrazia si ha in Clistene: dopo vari trascorsi di avversione con il tiranno Ippia riuscì a instaurare questa nuova forma di governo: come dice l'etimologia della parola “il potere al popolo”. Clistene, però, non viene ricordato nella storia solo per questa opera politica, ma anche per aver ideato l’ostracismo: infatti per difendere la forma di governo appena creata permise all’ecclesia (la più alta rappresentanza di Atene) di poter esiliare chi si riteneva pericoloso per la stabilità della città con la possibilità di poter rientrare se voluto dalla maggioranza della popolazione.
Ecco, l’esilio, una forma di esercizio di potere che ieri come oggi si ripresenta per motivi diversi ma che nascono dalla stessa origine: il bisogno di “pulire” un popolo.
Nasce anche così il concetto di voto popolare e maggioranza: le scelte non vengono più prese per il volere di un singolo, ma per l’inclinazione maggioritaria che il popolo ha esprimendo ciò tramite il voto.
Se da una parte, quella del mondo greco, abbiamo la democrazia, nell’altra penisola mediterranea (l’Italia) troviamo una storia simile: la nascita della grande Roma, da monarchia a repubblica a impero. Infatti la culla del potere romano lo si ha dall’unione (come per Atene) di tanti villaggi etruschi e latini che trovarono un’organizzazione politica nella monarchia.
Una cosa in questi racconti fa molto riflettere: i popoli prediligono la supremazia di un re quando si uniscono… sicuramente una motivazione la si potrebbe trovare nel fatto che sono sempre figure esemplari di famiglie aristocratiche a unire i vari insediamenti, quindi per meritocrazia ed elevamento sociale, il potere spetta a loro.
Questo concetto di desiderio di “appartenere a qualcuno o qualcosa" non è quindi un primo tipo di manifestazione dei social e delle mode?
Andando avanti nel tempo a Roma si susseguirono sette monarchi: i famosi Romolo, Numa Pompilio, Tullio Ostilio, Anco Marzio, Lucio Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. Proprio gli ultimi tre fecero sì che il popolo rifiutasse la monarchia in quanto ormai logorante per la città.
Arrivò così la Repubblica, una forma di organizzazione sociale unica nel suo genere: tre organi di potere (i comizi, il senato, la magistratura) studiati appositamente per evitare abuso di potere da parte dei membri della politica romana. Il popolo ha saputo trovare i suoi limiti e, con l’esperienza della monarchia, è stato in grado di creare un sistema innovativo perché sentiva la necessità di sentirsi rappresentato.
Ed ecco qui che il nostro percorso fatto di tasselli verso l’attualità inizia a comporsi, ci stiamo avvicinando sempre di più verso la politica di oggi.
Solo un passaggio manca però: la legge. Infatti finora abbiamo visto solo forme di governo che per l’epoca erano nuove e rivoluzionarie, però esse per funzionare e non inciampare in loro controparti, come la dittatura o l’oligarchia, devono avere dei documenti legislativi che stabiliscono in modo fermo e continuativo l’ordinamento di uno stato trovando i diritti e doveri dei cittadini.
Per trovare un primo antenato di quelle che oggi chiameremmo “Costituzioni” dobbiamo scavare nella storia fino al 1215, in Inghilterra, sotto il regno del re Giovanni “il senza terra”. Infatti il clima del paese era molto teso per colpa di ingenti sconfitte contro la Francia e abusi di potere della Corona dai predecessori di Giovanni che portarono i baroni e i nobili a ribellarsi per malcontento proponendo delle possibili soluzioni. Ed ecco un altro passaggio fondamentale, quando ci viene sottratto uno stato di benessere diventa quasi scontato andare contro il sistema per far sentire la propria voce. Queste parole non sono nuove se messe nel panorama attuale, vero? Immediatamente mi viene da pensare all’immigrazione, grande emergenza del nostro oggi, o delle proteste giovanili.
In una situazione così catastrofica re Giovanni inizialmente rifiutò di scendere a compromessi con i baroni, ma in seguito alla marcia su Londra da parte dei ribelli si trovò praticamente obbligato a redigere un documento che attestasse i diritti, i doveri e le libertà della nobiltà evitando così di abusare di potere.
Questa importante carta può essere messa alla base di ciò che è oggi il diritto civile e democratico inglese e che, in parte, ispirò anche le future politiche europee. Nonostante queste basi, però, i grandi valori attestati nella Magna Charta Libertatum si dissolveranno nel tempo: la continua creazione e instaurazione solida di monarchie nazionali restrittive, crisi e pestilenze di portata altissima e una sempre più ferrea direzione assolutistica portarono gli ideali di questo documento a essere dimenticati o modificati, quindi, negati della loro più nobile essenza.
Tutto ciò ebbe un apice tra il 1660 e il 1748, infatti questo periodo storico è definito come quello dell’assolutismo, dove paesi come la Francia erano capitanati da eccentriche e dittatoriali figure che accentrarono il potere in una sola figura: loro stessi. Basti pensare al Re Sole e alla sua celebre frase “L’Etat c’est moi!”, lo Stato sono io. Di fronte a questo culmine di mancate libertà, quindi davanti ad un’assenza, si sviluppò una corrente di pensiero tanto forte che gettò le basi per l’epoca moderna delle democrazie e delle repubbliche: l’illuminismo. Questo forte movimento culturale si basa sulla promulgazione del valore della ragione come luce in grado di guidare la persona, ma non più un suddito: il singolo umano è libero ed indipendente di crearsi la propria strada avendo, almeno così veniva teorizzato, le stesse libertà e diritti democratici nel ricevere il sapere. I massimi esponenti di questo movimento furono filosofi e scrittori come Voltaire, Rousseau e Montesquieu che riuscirono a propagare le loro idee grazie all’arte della pubblicazione di libri come “Lo spirito delle Leggi”. Queste influenti personalità aprirono gli occhi in primis dei cittadini francesi che, per la prima volta, poterono capire lo stato di disumano assolutismo che vivevano. La società era strutturata sotto il modello dell’antico regime: esistevano tre gruppi sociali infatti che stigmatizzarono la popolazione portandola a correre un rischio troppo grosso. Purtroppo, la politica ancora oggi deve risolvere problematiche del genere per non ricadere in errori passati: ghettizzare la popolazione. Ciò, una volta iniziato l’illuminismo, non andava più bene ai francesi del terzo stato, impoveriti e lasciati soli dall’abuso di potere dell'élite al potere. Così partì una vera e propria rivoluzione epocale: l’evento più simbolico fu quello della presa della Bastiglia il 14 luglio 1789, perché indicava la liberazione dalle catene dittatoriali dell’antico regime (in quanto la Bastiglia era un carcere politico). Poi la rivoluzione continuò con ingenti violenze che obbligarono re Luigi XVI di Francia ad accettare una Costituzione e a rendere lo stato una monarchia costituzionale. Ecco proprio questo documento ha come primo articolo questo importante concetto “Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune”. Con questo documento abbiamo la fortuna di assistere al popolo che per la prima volta stabilisce le proprie leggi; d’ora in poi non sono più solamente i nobili e gli aristocratici a conoscere e stabilire le regole, bensì è la gente comune che capisce le necessità del popolo in cui vive.
Questa fondamentale Costituzione, prima della storia moderna in quanto stabilisce il passaggio dall’età moderna a quella contemporanea in cui ancora oggi viviamo, poggia la sua ispirazione però su un altro documento di matrice altrettanto illuministica: la Dichiarazione d'indipendenza Americana. Infatti dopo lunghe battaglie il popolo statunitense riuscì a rivendicare il proprio diritto a non dipendere dalla Corona inglese ma ad essere una nazione indipendente.
Bene, da qui parte un percorso storico che a me piace definire come gli albori di tutte le future carte Costituzionali, anche della nostra.
Infatti a partire dalla dichiarazione d’indipendenza Americana si attraversa per la politica un periodo caratterizzato da un grande splendore dei valori democratici (basti citare la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino o le varie Costituzioni francesi emanate nelle Repubbliche che si susseguirono).
Ciò influenzò molto l’Italia, in quanto questa fiamma esplose sotto la volontà, materializzata da uomini come Mazzini, Cavour o Garibaldi, di volere un Paese unito e in cui i cittadini fossero fratelli: una patria. Ma cos’è una patria?
Ecco, i moti di pensiero risorgimentali ci aiutano molto a capirlo. Una nazione è una comunità di persone che si sentono rappresentante sotto un’identità condivisa per similitudini tra le persone legate a connotati fisici ma, principalmente, da fattori di idee e tradizioni culturali. Questo è il fondamento per quella gloriosa storia che porterà all’unificazione.
“Fatta l’Italia dobbiamo fare gli italiani”, diceva Massimo d’Azeglio (grande uomo e politico risorgimentale) per far intendere quanto una nazione fosse in realtà la risposta al bisogno fisiologico, prima ancora che filosofico, di unirsi e trovare delle regole comuni.
Qui torniamo, quindi, alla volontà storica ed eterna (che vediamo sin dalle polis greche) di voler creare società autoregolate. E’ un bisogno che ancora oggi rappresenta un argomento di fondamentale importanza e interessa gli ideali di molteplici politici (basti pensare al conflitto israelo-palestinese che si fonda, parlando ai minimi termini, sulla necessità di due popoli di unirsi ma nello stesso territorio).
Concentrandoci sulla storia del nostro Paese è fondamentale citare il secondo grande evento fondamentale che caratterizza la nostra storia: la prima guerra mondiale. Ecco, questo evento belligerante lo si potrebbe definire come il completamento dell’Unità, infatti vennero aggiunti all’Italia i territori di Trento e di Trieste… ma qualcosa mancava: i patti di Londra stabilivano che in caso di vittoria inglese (quindi anche nostra) avremmo avuto ulteriori territori a quelli che in realtà otterremo. Vittoria mutilata: i grandi valori nazionalistici e patriotici che guidavano il sogno di un’Italia trionfante, tagliati e distrutti. Ecco il malcontento, il primo segnale di una democrazia che trema.
Per non parlare poi dell’eccentricità attorno ad una figura tanto estrema quanto abile nel comunicare di Benito Mussolini: il suo pathos e la sua radicalità nel pensiero, fondato su valori di trasformazioni drastiche, riuscirono a catturare milioni di persone formando quella “creatura”, come viene definita nella serie “M il figlio del secolo”, che è il fascismo. Un’entità, incanalata nel Partito Nazionale Fascista e nella personalità-mito del Duce, che ben ci può spiegare un concetto purtroppo molto attuale e che periodicamente si ripresenta: quello di costruire veri e propri castelli sull’identità di persone estreme.
Basti pensare a figure come Vladimir Putin o Donald Trump, che giocano la loro politica sulle regole dell’egocentrismo ai massimi termini.
Tornando alla storia, tutto ciò portò l’Italia prima in una dittatura e poi in un disastroso conflitto con un esito ancora peggiore: la sconfitta e una Nazione intera da ricostruire. Infatti il nostro paese divenne una campo minato reso irriconoscibile da cicatrici, fisiche e ideologiche, di una portata epocale. Da qui, da questa catastrofe, su queste ferite, nasce la Repubblica Italiana.
La nostra Patria, nella “versione” più moderna e che viviamo tuttora, fonda le sue radici dopo la grande distruzione del secondo conflitto mondiale e su un evento in particolare: il referendum istituzionale del 2 giugno 1946. Infatti il popolo stesso aveva capito che fosse arrivato il momento per riformarsi, trovare quindi una nuova forma che rappresentasse veramente l’idea e le volontà dei cittadini. Così, alla mattina del 18 giugno dello stesso anno la Corte di Cassazione, in virtù degli esiti delle votazioni, proclama decaduta la Monarchia e nasce la Repubblica.
Il secondo grande, epocale, trionfale traguardo del nostro paese: prima l’Unità e poi una nuova forma di governo che fosse più vicina alle persone in quanto formata dalle persone stesse. Una volta iniziato l’operato del “Nuovo Stato”, risulta consequenziale formulare una Costituzione democratica che ne stabilisca i pilastri: viene formata così un’assemblea Costituente e il 1 gennaio 1948 viene emanata quella che diventerà a tutti gli effetti la prima e più grande legge dello Stato, madre di tutte le altre legislazioni. Ma cosa contiene?
Ecco, questa Carta rappresenta il culmine dei valori di civiltà e rispetto popolare per far sì che uno Stato si sviluppi nell’equilibrio e nella devozione verso le libertà individuali e comuni. Dall’articolo 1 al 12 la Costituzione si ramifica argomentando e spiegando i principi fondamentali della nostra Repubblica, come ad esempio le pari dignità sociali o l’indivisibilità della nazione. Mentre negli ulteriori 127 articoli leggiamo il funzionamento dello Stato. Ecco, proprio qui abbiamo il punto focale e che riguarda la parte tecnica della politica. Il sistema governativo italiano è organizzato sulla base di due principi: la suddivisione dei poteri e quello della Repubblica parlamentare. Per il primo si può dire che sono tre i poteri riconosciuti, e sono tripartiti in modo che il Parlamento abbia le facoltà legislative (ovvero di designare e creare le leggi), mentre il Governo quella esecutiva (ovvero di mettere in atto le legislazioni approvate e precedenti) e quella giudiziaria al corpo della magistratura. Per avere, però, una visione migliore della scena politica nazionale c’è da analizzare i vari organi che ne fanno da “campo di gioco”. Inizialmente abbiamo il Parlamento che è suddiviso nella camera del Senato e in quella del Consiglio dei Ministri: in quest’ultimo presenziano la “seconda carica dello Stato”, ovvero il presidente della Camera attualmente Ignazio La Russa, e il Primo Ministro o Premier che ad oggi è Giorgia Meloni. Queste figure fanno parte di uno schema più grande: il governo. Esso è l’espressione della maggioranza popolare in merito alla curvatura ideologica che la Nazione deve avere ed è infatti votato tramite elezioni in cui si dovrà scegliere quale partito o coalizione voler vedere capitanare l'Italia. Attualmente a ricoprire il ruolo di maggioranza abbiamo l’unione di Centrodestra, mentre all’opposizione (ovvero la minoranza) il Centrosinistra e le altre fazioni politiche indipendenti. A proposito di fazioni il sistema politico italiano prevede varie “forme”: i partiti o i movimenti. I primi sono un’associazione di persone che si uniscono perché accomunate dalle stesse idee in merito alla gestione della società e la risoluzione dei problemi, mentre i secondi sono sempre gruppi di persone ma che si pongono come unico obiettivo la risoluzione di un singolo problema. Un ulteriore punto focale della politica dei partiti e movimenti in Italia è la collocazione: infatti da una parte abbiamo le fazioni che vertono verso una visione di DESTRA, ovvero su idee liberali e conservatrici, o di SINISTRA, ovvero su dottrine progressiste e riformiste. Purtroppo queste due divisioni sono sempre più in scontro e hanno al loro interno unità estreme come gruppi neofascisti dentro la coalizione di governo o anarco-comunisti dentro l’opposizione. Tornando alle Camere, una volta formate grazie alle elezioni, dove per la maggior parte di volte più partiti sulla stessa curvatura ideologica si uniscono per raccogliere più consensi, si assegnano i vari Dicasteri (ovvero quegli enti che si occupano di determinati tematiche chiamati anche Ministeri dove c’è un Ministro che ne prende le redini e decide quali scelte prendere nel determinato settore di interesse) e il governo può iniziare a prendere scelte tramite le sedute parlamentari dove si vota e si discute per l’approvazione o meno di legislazioni. Altra figura importantissima all’interno della vita politica del paese è quella del Presidente della Repubblica, la più alta carica rappresentativa e che viene eletto dal Parlamento in seduta unitaria. Il suo ruolo è quello di tenere sotto controllo il rispetto della Costituzione potendo sciogliere i governi, disegnarne di tecnici e inviare messaggi alle Camere. Attualmente questa carica è ricoperta da Sergio Mattarella che vanta di essere Presidente da già dieci anni. Andando ancora più a fondo nell’analisi capillare della vita politica italiana possiamo anche capire l’importanza della magistratura, unico organo indipendente e che si assicura il rispetto dei diritti dei cittadini e l'emissione di condanne per chi infrange la legge.
Lo so, può sembrare complicato e a volte ingiusto il sistema politico italiano, ed è proprio per questo che mi viene spesso chiesto: perché vuoi proprio fare questo lavoro… “soldi facili”?
Effettivamente è vero, questa è una professione che molte persone vogliono fare in quanto tutti i vantaggi che porta già solo ricoprire un solo mandato di parlamentare, tra vitalizi e altro, permette di fare una vita benestante senza più lavorare. Io certamente non trovo la motivazione nella retribuzione e della “vita facile” che vivrei ma nell’amore per la politica e i valori che essa porta, d’altronde non avrebbe senso partire sin dalla storia di Atene se mi interessasse solo il guadagno, ma la trovo nel suo vero significato che già più volte ho ripetuto: l’arte di governare mettendosi in servizio di una nazione.
Infatti io sono catturato e continuamente interessato da ciò perché vedo l'attenzione verso la nazione e l'evoluzione della società come temi fondanti di una dottrina filosofica ancora più grande: quella del senso di umanità. D’altronde l’attualità non sarebbe così se il naturale corso storico e morale non avesse portato i vari governi e i molteplici sistemi politici a diventare ciò che sono ora. Quindi sapere di rappresentare la nazione che mi ha visto crescere mi rende orgoglioso e soddisfatto.
Ma qual è il mio esempio?
Ecco, questo dubbio è sempre consequenziale a quello precedente, perché affermare di avere una curvatura verso un determinato politico crea un marchio distintivo a seconda di ciò che pensava quella determinata persona.
Un esempio lampante e attuale che mi viene in mente è di sicuro il grande problema di generalizzazione che affligge il mondo. Basti pensare al fatto che aspetti, come l’origine che riusciamo a ricavare di una persona per i soli tratti somatici o per altri motivi, ci porti a “vestire” su quell’individuo determinate ideologie e pensieri senza conoscerlo veramente. Un esempio concreto e attuale riguarda le persone di fede ebraica, che proprio per appartenere a quel credo vengono viste come sostenitrici delle politiche Israeliane contro la Palestina, portando così a fenomeni come l’antisemitismo. Secondo i dati del CDEC di Milano questo fenomeno si verifica sempre più spesso in Europa e, da osservatore della realtà, questo mi preoccupa molto.
Di fronte a ciò per me c’è stata una profonda ricerca e ho capito che io non voglio essere la copia di nessuno, voglio infatti diventare il frutto originale, fresco e nuovo dell’unione che nasce quando si va oltre la barriera ideologica e si coglie qualcosa da ogni grande carriera.
Craxi, Berlinguer, Pertini, Moro, Andreotti e tanti altri, non sono solo cognomi di grandi politici: dietro celano personalità fuori dal normale per varie capacità positive che io voglio saper cogliere.
Anche se di sicuro posso dire che in una figura della mia vita personale trovo molta ispirazione: mio nonno. Infatti la sua presenza, come punto di riferimento, ha permesso di crearmi un pensiero globale, ovviamente non condizionato dal suo, e che consideri i lati positivi e negativi del tema ricordando, però, che la propria idea non si può imporre ma si deve argomentare per cercare di convincere l'altro imparando ad accettare la pluralità.
A questo punto mi sembra lecito dover creare una sorta di “carta d'identità” della persona che vorrò essere nella carriera del politico.
Innanzitutto voglio che il mio ipotetico elettore legga nei miei comportamenti e nei miei ideali il sacro rispetto e adempimento della Costituzione, perché ritengo che se si va al di fuori del terreno marchiato da questa Carta non si possa trovare sistema e persona democratica.
Successivamente vorrei anche che le persone vedano in me lo spirito di amore per la Nazione che caratterizza la mia volontà di fare politica non dubitando mai che io non mi muova per l’interesse dell’Italia.
Infine ritengo che un’ulteriore caratteristica necessaria per “il me, politico del futuro” sia la presenza continua e costante di quell’energia che sin dall’inizio mi spinge a diventare la persona in grado di avere l’arte di governare. Ciò trasmetterebbe al popolo un senso di giovinezza nelle idee e nell’interesse, senza mai far dubitare di avere in Parlamento una persona che faccia tutto questo per “avere la poltrona”.
A proposito di ciò voglio dedicare uno spazio in questa riflessione sul mio futuro anche alle difficoltà che potrei incontrare: infatti come in ogni obiettivo c’è un percorso da percorrere, ed esso non è mai rose e fiori, anzi, per raggiungere una certa importanza nel mondo della politica ci sono molti ostacoli da dover superare.
Il più grande ed importante, almeno a mio avviso, è la ludicità nel perseverare nel proprio lavoro senza perdere di vista ciò che si vuole raggiungere preferendo delle scorciatoie che sembrano più convenienti. Ad esempio sono molteplici le storie di politici che al posto di lottare per mantenere le promesse fatte scelgono di adagiarsi ad un alto stipendio o dando manforte alla corruzione e al favoreggiamento data la posizione che ricoprono, spegnendo la fiamma della politica e tradendo gli elettori.
Un altro grande problema, che ho avuto la fortuna di analizzare in maniera capillare grazie all’intervista all’On. Giuseppe Torchio sindaco di Bozzolo, il comune dove abito, è quello della partecipazione e della popolarità.
Infatti il fulcro di questa difficoltà riguarda l’aspetto dei consensi e di come ottenerli possa essere complicato e che mantenerli sia altrettanto complicato.
“Come in una buona democrazia rimani fino a che ti vogliono, poi devi sapere cosa fare”, questo mi ha detto il sindaco rispondendo ad una delle tante domande che gli avevo posto. Ciò, oltre che farmi riflettere sul senso di democrazia, mi ha portato a lungo a interrogarmi su quanto la politica sia veramente un lavoro.
La risposta a questo quesito che mi sono posto è che sì, fare il politico è fare un mestiere ma tutto sta nella capacità di farsi amare dal popolo riuscendo a capirlo in ogni sua sfumatura e comprendendo i suoi bisogni per trovare soluzioni efficienti: e ciò non è sempre facile soprattutto ora che viviamo in un periodo di basso interesse e alto assenteismo.
A farmi sviluppare la volontà di diventare così sono state anche alcune esperienze di leadership e discussione che ho avuto la fortuna di vivere durante il triennio presso la scuola secondaria di primo grado.
Prima tra tutte la possibilità di essere stato per tre anni rappresentante di classe e membro del consiglio studentesco, occasione che mi ha permesso di allenare la mia mente ad una dimensione prettamente politica e democratica della società insegnandomi come prendere scelte.
Inoltre ho avuto anche l’occasione di vivere tre anni come redattore e attuale direttore del magazine scolastico “Increscendo”: questa esperienza mi ha permesso di restare a stretto contatto con la realtà sviluppando il mio spirito critico per avere sempre un’opinione e capacità di organizzazione di un gruppo di persone quale la redazione. Nella mia quotidianità scolastica ho avuto la fortuna di frequentare un Istituto che ha una curvatura basata sui valori civici. Infatti ho avuto un approccio ancora più forte con i bisogni e i “chiodi fissi” del mondo grazie alla proposta delle “Giornate per riflettere”, iniziativa che si basa sull’approfondire l'aspetto storico e morale delle celebrazione nazionali e mondiali più importanti; sono entrato anche in stretta correlazione con l’informazione per merito delle “Battaglie di pensiero”, un'iniziativa da me avanzata nel consiglio studentesco e che consiste in una discussione gestita da un alunno che riporta in classe una notizia di attualità.
Di fronte a queste esperienze, infatti, vedere persone disinteressate mi allarma ma al contempo mi motiva a continuare per “salvare”, per quanto io possa farlo, la società.
Ma, arrivati a questo punto, che formazione serve per diventare tutto ciò?
Ecco, per diventare un politico non esiste una vera e propria preparazione, anche se per la maggior parte delle volte i più illustri politici si sono formati attraverso istruzioni liceali di vario tipo (principalmente licei classici, linguistici e scientifici) per poi conseguire la laurea presso università di indirizzi come scienze politiche o politologia. Secondo le ultime ricerche del Politecnico di Milano in collaborazione con l’università di Torino gli studenti che intraprendono studi politici, per la maggiore che riguardano i bisogni regionali e nazionali, nel giro di tre anni riescono a trovare un lavoro relativo agli studi fatti per l’80% dei casi.
Rimanendo nell'ambito della carriera prettamente politica si può anche dire che, secondo gli ultimi studi della Libera Università Mediterranea, le prospettive future lavorative per tutte quelle persone laureate nel settore economico-statistico e giuridico-politico sono di una richiesta nel territorio (nazionale) di circa 79.000 unità. Questo fa capire ancora una volta quanto servano figure specializzate per prendere le redini della società di fronte ad un’età media del Parlamento italiano di 51.5 anni.
Anche se l’importante formazione per una persona che vuole intraprendere questa carriera si fa dentro le giovanili dei partiti: infatti, per inserirsi nell’ambiente politico italiano, bisogna partire dai gruppi interni dei partiti stessi dedicati ai giovani, dove, insomma, si scoprono i nuovi talenti. Poi lì è tutto un gioco di diplomazia e leadership.
Esempi di persone nate e cresciute all’interno delle giovanili sono le due politiche italiane della scena attuale: Giorgia Meloni ed Elly Schlein, che pur avendo idee diverse hanno arricchito la loro carriera dalla stessa base.
Un dato allarmante riguardo queste ali interne riguarda i numeri: delle vere e proprie emorragie vedono fazioni come il PD o Fratelli d'Italia diminuire drasticamente in tesserati. La fascia maggiormente interessata da questo fenomeno è, tristemente, l’età giovanile e adolescenziale.
Alcuni dati che enfatizzano maggiormente questo fenomeno si possono trovare dagli ultimi report dell’ISTAT: nella fascia tra i 14 e i 35 anni il 64.9% delle persone si dichiara disinteressato dalla politica mentre solamente il 4.1% della popolazione nazionale partecipa a comizi politici.
Ciò rappresenta una grande urgenza per il “piccolo” territorio, cosa che si va ad aggregare con molte altre.
Ad esempio, cosa emersa anche grazie all’intervista all’On. Sindaco Giuseppe Torchio, un ulteriore bisogno che hanno i comuni (più vicina unità dello Stato con la società) è quello di vedere investimenti per il miglioramento e lo “svecchiamento” degli spazi pubblici portando un effetto a catena che ha come risposta una maggiore vicinanza e fiducia dei cittadini nei confronti degli organi amministrativi che vengono visti come all’avanguardia per rispondere ad ogni occorrenza.
Infatti oltre che un inverno demografico stiamo vivendo un periodo dove gli adulti del futuro ritengono inutili e noiosi i temi della politica perché malvisti.
Ecco, questo è l’aspetto primitivo che provoca poi tutta l’onda di disinteresse per la politica: semplicemente essa stessa è vista dagli italiani come qualcosa di negativo.
Infatti la storia italiana è una delle più particolari in politica: sin dal trasformismo di Depretis, dottrina ideata dal Primo Ministro del Regno d’Italia basata sulla contrattazione tra destra e sinistra storica per l’approvazione delle leggi e una maggiore stabilità politica, iniziano i segnali di un deficit di sincerità e trasparenza per dare spazio a corruzione e associazioni a delinquere come la mafia.
La motivazione? Semplice, è tutto un “magna-magna”; questa espressione colloquiale della nostra lingua descrive benissimo il senso di disprezzo e sfiducia che hanno gli italiani nella politica per i motivi spiegati.
Ad alimentare il tutto c’è anche un sempre più crescente inasprimento del “conflitto” ideologico tra destra e sinistra che più che combattere sulla base delle idee si contendono il potere a furia di “sgambetti” antidemocratici l’una contro l’altra.
Cosa farei io?
Ecco, per rispondere a questa carenza cercherei di ripulire la reputazione della scena politica italiana dimostrando con gesti concreti quanto in realtà il mio ruolo non sia quello di attaccare il mio avversario, non nemico, ma di contribuire quanto posso al miglioramento dello Stato anche di fronte a problemi sempre più grandi e che minacciano l’umanità senza distinzioni, riuscendo a mettermi in servizio.
Infatti ad oggi, con l’avanzamento delle tecnologie generative, la politica internazionale (nel mio caso quella europea con cui l’Italia ha un rapporto di stretto contatto essendo membro dell'Ue) si trova un grande masso da saper gestire in quanto l’incertezza, in merito a temi come la privacy o la creazione di materiale non vero, necessita di leader decisi e in grado di saper prendere scelte reali e fattibili.
Immedesimandomi in un capo di Stato europeo del futuro, come ad esempio il Premier italiano, cercherei di organizzare colloqui tra altri presidenti in unione con organi come la BCE o grandi aziende del settore tech per prendere scelte che portino il maggior quantitativo di vantaggi ai maggiori interessati da questo problema che può e deve diventare una risorsa.
Un ulteriore grande punto di domanda per il mondo riguarda la guerra e, quindi, tutti i rischi che essa comporta come crisi o carestie. Infatti ad oggi si tende a vedere la politica come un concetto fortemente intrecciato a quello di guerra, anche se si dovrebbe capire quanto la diplomazia sia l’alternativa al conflitto.
Personalmente penso che se gli organi amministrativi internazionali si riunissero senza guardare distinzioni ideologiche ma il solo scopo di raggiungere la pace sarebbe molto più facile la realizzazione del progetto di concordia tra le nazioni e partnership per gli obiettivi comuni di cui parla l’AGENDA 2030.
Quindi, per riassumere, cercherei di tornare all’origine del senso politico: Atene, Roma, la Magna Charta. Mi impegnerei per trovare nel passato le certezze per un futuro che sta dimenticando la democrazia.
Ecco, arrivati a questo punto posso dire di aver avuto almeno una capacità che ritenevo fondamentale: aver parlato di passato, presente e futuro.
Infatti penso che chiunque voglia svolgere la carriera del politico debba diventare cittadino ad un livello ancora più alto, deve sentire infatti in sé la responsabilità di avere la cittadinanza (fisica e morale) verso la Patria che, come una casa, lo ha ospitato donandogli valori tutti capitanati dal senso di partecipazione e democrazia partecipativa che oggi sono chiamati loro stessi a capitanare e propagare come un megafono.
Voglio quindi concludere questo testo, che è in realtà l’analisi del mio più grande sogno, con una frase iconica di Max Weber, sociologo e filosofo tedesco, che spiega benissimo l’importanza sacrale che rappresenta per me la politica e, di conseguenza, la mansione del politico come persona che vive per la propria grande casa e che sono sicuro sia una mentalità vincente soprattutto per tutte quelle persone come me che vogliono intraprendere questa carriera:
“Ci sono due modi per fare il politico: vivendo “per” la politica oppure vivendo “della” politica”.
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Alessandro Micheloni